30 dicembre 2011

Spread

La naturalità con cui si fanno i bilanci a fine anno coccola i nostalgici a viso aperto. Non amo chiudere e riaprire il tempo, forse per il fatto che tendenzialmente ragiono ancora in anni scolastici e trovo scomodo il cambio d'agenda.

In questa casa, da cui si domina la periferia sud della città, se sono fortunata riesco a scorgere il Monviso. Col cielo terso di questi giorni, sembra che si possa vedere sempre una cima in più di quella grande catena che abbraccia, con le dovute distanze, noi, cittadini delle piane gelate. Un tempo le avrei misurate a spanne, le piane, distese a quadri attorno ai palazzi. Contando il numero di porci da farci pascolare e figurandomi il campo subito, come le sarte con le misure. Ma oggi non posso, non so nemmeno quanto spazio occupa un maiale adulto.
L'anno prossimo, magari, ci sarà una giornata talmente tersa che il Monviso riuscirò a fotografarlo. Quest'anno non ne sono mai stata capace. Così bianco che il cielo non lo vede, lo copre per errore. Io preferisco aspettare il momento giusto. Attendo di imparare a vedere più nitido o a fotografare meglio. Immaginando cosa possa esserci lì, al centro di quello spazio muto, tra quello che siamo e quello che dovremmo essere, tendenti a una virtù non insegnabile.  Forse la volontà. Forse l'istinto.

Lo spread, alla fine, non è nient'altro che questo spazio.

Nessun commento: