21 dicembre 2011

Ed è subito sera

Il rischio è fare notte.

L'aeroporto è tanto lungo che spaventa. Lungo, non largo. L'arrivo e la partenza: si cammina di continuo in attesa dell'uscita. Dell'entrata. Che sia il treno o l'aereo a Bruxelles non è importante. A tratti tutti camminano con te. Pochi sono in contro mano, quasi nessuno, in effetti. Veloce anche io dunque, su quegli scivoli piani che aiutano il tempo e fanno sorridere. Come a Montparnasse con il tapis roulant per agonisti che sfreccia a dodici chilometri orari ed io, ebete, mi sistemo i capelli come in motorino. Poi comincio ad avere caldo, lo zaino, la giacca, la sciarpa, i guanti, anche la carta d'identità con l'involucro sembra sudarmi addosso. Quando arrivo in stazione, poco più in alto del centro di Verne, la temperatura, stronza, molla la presa e scivola dove non la riesco più a vedere, né a riprendere, giù nel pozzo di Vermicino. Così, svestita male, attendo un treno per Lovanio, la Bologna del nord con i suoi venticinquemila studenti su una popolazione che è come quella della mia città. Il treno riemerge da un cassonetto grigio, fuori, piove. 

 Piove sempre, per tutti i giorni che ci sto. Ad un tratto comincia anche a nevicare, quando sbaglio treno e imbocco verso quella parte francese che i fiamminghi disapprovano. L'incontro è con un guerriero. Olivier. Lui ha uno scudo tondo e una lancia. Me li fa toccare, crede sia spaventata, ma non mi conosce bene. Tasto il polistirolo dipinto dalle sue mani, lui distende il volto. Perché si fa così. Quando il piano è condiviso, quando lo sappiamo tutti e due, quando entrambi abbiamo le stesse regole, ecco è allora che distendiamo il volto e ci mettiamo comodi. Lui è un giocatore di ruolo, io una che non sa bene l'inglese. Gli chiedo cosa ha in programma per l'ultimo dell'anno. Mi dice che non lo sa, mi dice che andrà sulle Ardenne a fine gennaio. Non ci sono montagne per capodanno scherza. Non ci sono montagne in Belgio, effettivamente.

Con l'Anversa dei diamanti io faccio un po' fatica. Sarà che è sabato, l'ultimo prima di Natale. Faccio fatica con le chiese adornate come torte, faccio fatica con una sangria calda che scimmiotta un amaro vin brulé. Però anche qui, come a Lovanio, piove e le biciclette non si contano. Sono tante, forti, veloci. Si affittano a poco, la cauzione a fare da pegno. La capitale della moda, sotto l'acqua, scintilla. Un ragazzetto magro suona storto un pianoforte con la cassa sfondata. Gli si vedono le interiora ballare come la pelle del viso steso. Suona con i guanti, ma non fa tutto il freddo che dicono. 

A Bruxelles è al parlamento europeo che penso, ma non lo vedo. Vedo il Centro del Fumetto, si era detto di distrarci. Un posto incredibile, con i Puffi e Tintin, baluardi della creatività belga. Poi altre strisce, un umorismo sommesso, un bilinguismo scomodo che nei baloon obbliga il testo a discapito del disegno. Quando ne usciamo è sera. 

Anche se è presto, in Belgio, a dicembre, è subito sera. E piove, sempre, piano.







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