L'asino Bottone è stanco e svogliato.
Sta lì nel suo recinto di legno scuro, in un esagono d'erba che pare non bastare mai. Quando è domenica le braccia dell'uomo si protendono verso il suo muso annoiato e ne richiamano l'attenzione con urla e schiamazzi.
Al ché, disarmato, Bottone trotterella lento e monotono verso il recinto per farsi imboccare di paglia e fieno dai visitatori del parco ad aprile. Sa che se riga dritto e non fa il solito testone, poi arriva Tancredi con un paio di mele e un secchio d'acqua fresca.
Morbido com'è lo si accarezza volentieri, ma Bottone soffre un solletico bestiale e ogni volta si trattiene dal ragliare come un ossesso quando i bambini con le mani di formica gli solleticano il dorso. Quando qualche volta scoppia per le risa è un pasticcio colossale: i bambini gli fanno il verso disperati, ululando ininterrotti come antifurto e gli accompagnatori si allontanano impauriti. Tancredi allora lo fulmina con lo sguardo e si avvicina al recinto con le mani sui fianchi. All'istante Bottone smette di ragliare e si ritira all'ombra della siepe cercando un po' di pace per schiacciare un pisolino solo, con la solita mosca senza nome che gli ronza a spirale tra le narici.
Sul manto grigio ha una grossa croce sbilenca di pelo nero che arruffata pare una macchia di inchiostro su uno scottex impolverato. Bottone deve ammettere che se non fosse per Tancredi sembrerebbe un burro di bosco, un somaro selvatico con bacche di foglie e rami di bacca a lordargli pelliccia e zoccolame, curioso e lazzarone, buono solo a scorrazzare arruffato, e caciarone come lo scemo del villaggio. È dunque una fortuna che Tancredi si occupi di lui, senza obbligarlo a fare ciò che vuole, senza imporgli di stare con la gente la domenica se non ne ha voglia. Solo accarezzandolo, pulendolo e parlandogli per ore con una erre moscia tra il nobile e il ridicolo, come solo si confà a un ragazzino di neanche prima media.
Tancredi arriva il pomeriggio con un mazzo di chiavi sonante, apre la casetta del bosco, sbatte lo zerbino e accende la radio e la stufa, se è inverno. Poi sistema la carte e i volantini sul banco. E mentre attende che arrivi qualcuno a domandargli informazioni sul verde attorno tenta svogliato un paio di problemi sul rombo ma fa in fretta ad abbandonar la questione. In punta di piedi sgattaiola sotto il recinto e rispunta di fianco a Bottone che si finge dormiente. Comincia a raccontargli tutti dei pettegolezzi sui suoi vicini di casa la cui figlia maggiore si taglia le unghie dei piedi sul balcone di sopra facendo cadere tutta una pioggia di unghie ricurve e bianchicce sul suo terrazzino al piano terra. Gli dice delle urla dei suoi fratelli quando bisogna decidere a chi tocca tenere l'auto il sabato sera. Gli dice che vuole fare il pilota anche se gli mancano già due diottrie per pupilla.
Intanto Bottone si gode le chiacchiere lungo tutta l'orecchia e si lascia lustrare gli zoccoli come se dovesse camminare sulla moquette. Poi verso le sette Tancredi richiude la casupola, riempie il secchio del suo fido destriero con l'acqua necessaria e gli apre il chiavistello della piccola stalla di legno. Lo saluta senza troppo fragore e sparisce dietro la curva del sentiero stellato.
La notte, dalla croce sbilenca, Bottone srotola le ali.
Ali lunghe come tappeti persiani e possenti come braccia di uomo.
Tancredi ha gli occhi verso il cielo della finestra di camera sua e attende che il sonno gli piombi sul muso. E così riconosce in volo una figura goffa e panciuta solcare il cielo sereno del parco. Pare un asino aerostatico riempito di elio o un asino a dondolo di carne e pelliccia. Comunque sia, Tancredi lo invidia parecchio e pensando ai suoi viaggi di pilota futuro s'addormenta in un batter di ciglia.
Tancredi è un volontario del FAI.
Bottone un asino che vola.
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