01 dicembre 2010

Via dei matti numero (zero) uno_ #1


Seduto al computer alle sei di mattina. Jacopo aspetta che smetta di piovere.

L’acqua che scroscia gli buca il cervello. È come se gli si infiltrasse tra la scatola cranica e il cuscino dei nervi stanchi e lassi di fumo. Il rumore gli contamina ogni azione. L’intento che la guida si sfalda e confonde.
Gli occhi sbarrati a fissare lo schermo.
Si dimentica perfino le battute e i dialoghi dei personaggi. Il volume è al minimo, tanto fa uguale. Gli basta intuire la situazione. È troppo stanco per essere vigile e troppo vigile per dormire.

L’udito è il suo settimo senso, aveva scherzato una volta Vanessa, con la storia dei test audiometrici sul web. Lui però l’aveva presa sul serio e li aveva fatti tutti. Alla fine era giunto alla conclusione che la batteria avrebbe potuto migliorare la sua condizione di uditore provetto. Assordandosi da sé, si era detto, l’avrebbe fatta finita con quella presenza continua di voci, suoni e rumori. Compagni irrinunciabili che lo condannavano ad una solitudine d’eccezione.

Non sentire se stesso.



Vanessa gli aveva domandato se facesse tutto parte del suo programma di autodistruzione. Approvato dall’amministrazione comunale. E brevettato dalla Microsoft.

Jacopo non si ricorda. Ma non aveva risposto di no.

Per dormire, uno come lui, si deve concentrare.
Su un pensiero preciso, la scena di un film. La formula giusta, lei che scende dal treno, l’aria calda della metro e le cosce sotto le calze scure. Il cane che vorrebbe color cappuccino sdraiato e colante sul tappeto persiano.
Con un solo pensiero buono riuscirebbe a non sentire.
Ma questa mattina Jacopo non ha pensieri buoni. E col cazzo che riesce a dormire.

Passa un quarto d’ora e lo scroscio dell’acqua non sembra tacere.
Sua madre imbevuta di Prozac si sveglia presto e avanza come un fantasma, sorda sulla moquette. Seduta di sotto in cucina sussurra agli elettrodomestici spenti e alle luci lampeggianti della lavatrice a fine corsa. La voce sibila rabbiosa incubi al risveglio. Il tono è perentorio, secco, talvolta ascendente. Ripete parole senza un senso compiuto. Paiono formule magiche di una strega potente. O ricordi che come la nausea tormentano chi vuole dimenticare.

Menate.

Jacopo è abituato al disagio di sua madre, anche se non ne è ancora assuefatto.
Un colpo secco alla scrivania con le mani e la sedia scorre sulle ruote fino alla ringhiera. S’affaccia, di sotto solo bisbigli in assolo. Niente di buono sotto il sole che sorge. A volte vorrebbe ci fosse un interlocutore. Quasi ci casca, se è in dormiveglia.

Ecco questo potrebbe essere un pensiero buono. Meglio approfittarne.
Si mette alla prova e tenta un allungo. Dormire un’ora, prima di doversi svegliare di nuovo. Con un colpo di mani abbassa lo schermo del suo notebook e si siede sul letto di Marghe che dorme. Le si sdraia vicino, lei lo sente e si scansa per fargli posto.
L’orologio misura, le gocce contano, Jacopo batte col cuore il ritmo di fuori.
Ammassa sussurri sull’acqua. Il caffè borbottante e un ciabattare irrequieto. Gli scoppia la testa a sentire il suo battito. E sprofonda in un sonno faticoso e bagnato.

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